Una notte d'inverno, Vanni e Vanna
chiusero gli occhi alla lor dolce madre.
Ad essi non lasciavi, o dolce madre,
che un giaciglio di strame e una capanna.
Nulla sapevan, fuor che verdi boschi
percorsi a gara, e fiumi vinti a nuoto,
e sogni d'astri su nel cielo ignoto,
e rosse nubi di tramonti foschi:
egli biondo, ella bruna: egli con tersi
occhi d'acciajo, ella con lunghi cigli
d'ombra: e nessuno li potea dir figli
d'istessa madre—tanto eran diversi.
Pur s'amavano. E quando fu sepolta
la madre, Vanni disse: Ove s'andrà?…
Ma Vanna scosse con serenità
il casco della chioma arida e folta.
Non per essi la fumida officina
ove d'odio e di sangue gl'ingranaggi
s'intridono talvolta, e nei selvaggi
rombi vibran minacce di ruina:
non gelida bottega o solitaria
soffitta, in lezzo sordido ammuffita.
Fiori eran essi di beltà, di vita,
maturati nel sole, avidi d'aria.
E chiese Vanni ancora: Che faremo?…—
Ella gli rise stranamente in faccia
allacciandogli il collo con le braccia
di zingarella; e disse: Canteremo.—
*
Così, lasciato il bosco e la capanna,
soli con la chitarra e la canzone,
sospinti da una folle passïone
di libertà, partiron Vanni e Vanna.
Molti carmi sapevano: d'amore,
d'odio, di guerra, di promessa. I lenti
ritmi appresi li aveano essi dai venti,
da lo stormir delle frasche sonore,
dalle piogge d'Autunno, dai sospiri
degli usignoli quando Maggio torna,
dal riso della terra che s'adorna
se Primavera in sua freschezza spiri….
Strani talvolta sulle labbra smorte
dei due fanciulli senza posa erranti
dettava la profonda anima i canti.
…. Apparivan le donne sulle porte:
macre fra i cenci, coi piccini al seno,
impallidivan di dolcezza, in cuore
pensando giovinezza e il breve amore
primo, e i sorrisi del tempo sereno.
Sollevavano i fabbri dalle incudi
sudato il volto, e dalla tela gli occhi
le cucitrici, e i bimbi dai balocchi,
e i braccianti dai ferri i polsi rudi;
e ognun tornava ad una sua perduta
gioja, a un lontano bene, a una malia
di tenerezza—a ciò che non s'oblia
anche se per dolore il cor si muta.—
*
«Vanna, sei stanca?… Come in un agguato
la luna piomba dietro un aggroviglio
di nubi nere.—Per il tuo giaciglio
il mio mantello io stenderò sul prato.
Sorella della mia libera gioja,
lucciola d'oro, piccola farfalla!…
Posa, col capo presso la mia spalla,
fino a che l'ombra ad oriente muoja.
Dell'ombra io spierò sogni e misteri,
e del silenzio i fremiti sommessi;
e ingenue laudi comporrò con essi
che tu modulerai lungo i sentieri….»
«…. Vanni, m'ha desta il brivido dell'alba,
dormìi sull'erba come in un lenzuolo:
chi fu che mi vegliò tacito e solo,
sotto l'incanto della luna scialba?…
La luna m'insegnò stanotte un canto
che farà bianche di malinconia
tutte le donne.—Un poco aspra è la via
lungo il fiume che piange un sordo pianto:
giungerem tardi alla città superba
che laggiù, tra le nebbie, innalza i suoi
pinnacoli fumanti.—Oh, dolce a noi
mirare alberi e cieli, e premer l'erba:
e non aver dagli uomini che un pane,
nè chieder altro: ai focolari accanto
stornellando passar senza rimpianto,
dominatori delle vie lontane!…»
*
Livida, immota sotto un ciel di piombo
sta la città dove son giunti. Tetre
minacce par che salgan dalle pietre.
Investe l'aria un vampo ardente, un rombo
di tempesta, di collera. Le porte
son chiuse, chiuse le finestre. Passano
i soldati a nuda arma, a testa bassa.
Sbuca la turba, ecco, a tentar la morte:
d'odio armata, di sassi e di pazzia,
contro la forza il suo delirio scaglia.
Irrompe, ansa, urla, impreca, si sguinzaglia,
si ricompone a barricar la via.
…. Così, così s'ammazzano i fratelli
in Dio, nelle città cariche d'oro?…
…. Dolci rapsòdi, alto a quest'ora è il coro
dei passeri, laggiù, sui pioppi snelli.
Fiori travolti nella gran ruina
con l'orda cieca i due rapsòdi vanno.
Odon sibili e gemiti: non sanno.
Sorridono al furor che li trascina.
Nella trepida gola han le canzoni
della selva, nel sangue onde d'amore;
ma un colpo spacca all'uno all'altra il cuore,
cadono insieme, boccheggiando, proni….
Sulle labbra innocenti amor s'impietra
che agli umili sorrise in gaje note:
l'anima goccia dalle arterie vuote,
e se ne imbeve, gelida, la pietra.