Tu che pietosi gomiti
Spargesti ognor cantando,
Che per garzone indocile
Di te vivesti in bando,
Tu che fra meste tenebre
ore di duol passavi
Allor che il sonno, o il giovane
Ahi lassa! invan chiamavi,
Tenera Saffo! un flebile
Poeta a te sen viene
A raccontarti il misero
Le sue amorose pene.
Te su le corde lidie
Talor piangendo invoco,
Acciò mio fiamme estinguere
Io possa almen per poco.
E te ne' carmi, o tenera
Fanciulla, ognor io chiamo,
Che al par di te fra lagrime
Son disprezzato, ed amo.
Amo: la nostra Venere
Non odo i voti miei,
Pur troppo è ver; son perfidi
Con l'infelice i Dei.
Ma che mai dissi? e Cipria
Da te invitata un giorno
Con i giojosi passeri
Posò sul tuo soggiorno;
E a te tergea benefica
L'occhio dai pianti stanco
E ti porgeva ambrosia
Sedendosi al tuo fianco.
E a noi de' Numi il braccio
Aita dee prestare,
Che a noi son venerabili
Dei numi i riti e l'are,
Tu pur se' Dea: memoria
Amor dei fidi serba,
E lor fa lieta l'anima
Dopo una vita acerba.
Ma di'? Cessi di piangere
Là negli elisii campi?
O con le piante candide
Orme solinghe stampi?
Ah! benchè spenta, o Lesbia,
Ancor sospiri ed ami,
E ancor l'ingrato giovane
Su l'arpa eolia chiami.
Me pur tra poco scendere
Fra tetre ombre vedrai;
Ma amante ancor; non spegnesi
Un vivo amor giammai.
Funerei fiori e nenie
Dell'infelice madre
Me seguiran già cenere
Fra sorde pietre ed adre,
Ma amore, amor indomito,
Sia con quest'alma insieme;
Forse sarà più orribile,
Chè allor fura ogni speme.
Pur morirò: tu tenera
Fanciulla a me ti mostra;
Noi piangerem dicendoci
La mutua doglia nostra.
Noi piangerem, e i queruli
Pianti saran soavi;
Fra gl'infelici sembrano
Le pene assai men gravi.