Quel ch’è vero non sparge sabbia nei tuoi occhi,
per quel ch’è vero morte e sonno con te si scuseranno,
come incarnato, saggio per ogni dolore,
quel ch’è vero smuove la pietra dal tuo sepolcro.
Quel ch’è vero, caduto ormai, slavato
seme o già foglia, nel letto malsano della lingua,
un anno e un anno ancora ed ogni anno –
quel ch’è vero non crea tempo, lo salva.
Quel ch’è vero discrimina la terra,
pettinando sogno serto e coltura,
alza la cresta e colmo di frutti strappati
ti folgora, prosciugando ogni cosa.
Quel ch’è vero non spera la scorreria
quando per te forse è in gioco tutto.
Sei la sua preda, se le tue ferite sgorgano;
nulla ti assale, che non ti tradisca.
Giunge la luna, con brocche avvelenate.
Bevi il tuo calice. L’amara notte cala.
La feccia schiuma su penne di colombe,
se un ramo non è portato in salvo.
Schiavo del mondo, sei gravato di catene,
ma quel ch’è vero nel muro apre le crepe.
Vegli e nel buio vai scrutando intorno,
a ignota via d’uscita tu sei volto.