L'aedo senza lira
Poesia di Gabriele D'Annunzio
Meco ragiona il veglio d'una spezie di pomi. E dice: "Nasce in arbore di mezzana statura, e fior bianchetto. La dolcezza del frutto è mista con asprezza. Non ricusa qualunque terra. I luoghi allegri ama bensì,dolce temperie. Dilettasi del mare. Il vento e il gelo teme. Innestar non si puote. Piccola etade dura. Serbansi i pomi in orci unti di pece. Anco serbansi in cave dell'oppio arbore; ovver tra la vinaccia in pentole, assai bene e lungamente". Così ragiona il veglio; ed in sue lente parole il cor si spazia come in un canto aonio. Risplende un'antichissima virtude, come nel prisco aedo che canta un fato illustre, o Terra, nel tuo bianco testimonio. Il soffio del suo petto paterno è come la bontà dell'aria che fa buona ogni cosa. La vita fruttuosa dell'arbore s'agguaglia alle sorti magnifiche dei regni. Ei parla, e tra due legni tesse la chiara paglia come l'aedo tende le sue corde, create cò minugi degli agnelli, tra i bracci della lira. Vento asolando, spira odor di meliloto il miel dall'ombra, colato nei mondissimi vaselli ove la man spremette i fiali pregni. Ei ragiona e travaglia; e il flavescente culmo non si spezza. A quando a quando mira come chi attenda segni. Ode sciame che romba. Ei parla di battaglia che han l'api in loro ostelli per signorie lor nuove. Gli luce nella barba e ne' capelli alcun filo di paglia che il suo parlar commuove. Al sole oro non è che tanto luca. Appesa alla sua bocca che s'immézza, presso l'aroma della sua saggezza, l'anima nostra è come la festuca.