Il fabbro

Poesia di Arthur Rimbaud

Palazzo delle Tuileries,
     verso il 10 agosto 1792
 
Col braccio sul martello gigante, tremendo
D'irruenza e grandezza, fronte vasta, ridendo
Come una tromba di bronzo, con tutta la bocca,
E avvinghiando allo sguardo feroce quel grassone,
Il fabbro parlava con Luigi Sedici, un giorno
Che il Popolo smanioso gli stava intorno,
Strusciando su quegli ori i suoi panni sporchi.
Ora il buon re, ritto sulla pancia, era livido,
Livido come un vinto da portare alla forca,
E, umile come un cane, non recalcitrava,
Ché il fabbro, quel birbante dalle spalle enormi,
Gli diceva parole vecchie e cose strambe,
Da agguantarlo dritto in fronte, così!
 
"Padron mio, tu lo sai, cantavamo larallà,
Pungolando i buoi verso i solchi degli altri:
Il Canonico al sole filava paternostri
Sul bel rosario a grani di monete d'oro.
Il Signore, a cavallo, passava a suon di corno,
E chi con il capestro, chi con lo scudiscio,
Ci accarezzavano. - I nostri occhi, sbarrati
Come occhi di mucca, non piangevano più;
Si andava, si andava, e quando i campi
Erano tutti suddivisi a solchi, quando
Avevamo lasciato in quella terra nera
Un po' di carne nostra… ci davano la mancia:
Davano fuoco, la notte, alle nostre stamberghe;
I nostri figlioli là dentro erano focacce ben cotte.
 
… "Oh! Non è per lagnarmi. Dico le mie sciocchezze,
Rimanga fra noi. Puoi anche contraddirmi.
Dì, non è festa vedere, al mese di giugno,
L'ingresso ai granai dei carri da fieno
Enormi? Sentire l'odore dei germogli,
Dei frutteti quando piove un po', dell'erba fulva?
Vedere biade e biade, spighe piene di grani,
E dirsi che tutto ciò prepara tanto pane?…
Oh! andremmo più forti alla fucina ardente,
A cantare gioiosi martellando l'incudine,
Se fossimo sicuri d'avere almeno in parte,
Dato che siamo uomini! quello che dona Iddio!
- Ma no, è la solita vecchia storia di sempre!
 
"Ormai lo so. Io non posso più credere,
Poi che ho due buone mani, una fronte e un martello
Che un altro venga lì, la daga sul tabarro,
E dica: Ehi! tu, semina sulla mia terra;
Che vengano addirittura, se ci fosse la guerra,
A pigliarsi mio figlio, così, nella mia casa!
- Io dunque sarei un uomo, e tu, saresti un re,
Potresti dirmi: Voglio!… - Lo capisci, che è stupido.
Credi che a me piaccia vedere la tua baracca, i tuoi
Ufficiali infronzoliti, i mille furfanti, i moscardini
Bastardi che fanno la ruota dei pavoni:
Hanno riempito il tuo covo con l'odore delle nostre
Ragazze, e coi biglietti, per spedirci alle Bastiglie.
Ora dovremmo dire: Bravo; i poveri, in ginocchio!
Indoreremo il Louvre, dandoti i nostri soldi!
E tu ti ubriacherai, tu farai festa grossa.
- E lorsignori a ridere, e noi, giù con la testa!
 
" No. Sudicerie che datano dai nostri vecchi.
Il Popolo non è più una puttana. Tre passi, e noi tutti
Abbiamo ridotto in polvere la tua Bastiglia.
Una bestiaccia che trasudava sangue da ogni pietra
Ed era sconcia, la Bastiglia in piedi
Con i muri rognosi che ci raccontavano
Tutto, tenendoci rinchiusi in quel buio!
- Cittadino, cittadino, era il cupo passato
A rantolare, a crollare, quando prendemmo la torre!
In noi c'era qualcosa di simile all'amore.
Avevamo premuto i nostri figli al petto.
E simili a cavalli dalle froge
Fumanti, noi andavamo, fieri e forti;
Sentivamo questo pulsare, qui…
Camminavamo nel sole a fronte alta, - così,-
Per le vie di Parigi! Si accorreva,
Verso le nostre luride casacche.
Finalmente! Eravamo Uomini! Pallidi,
Sire, ubriachi di tremende speranze:
E quando fummo sotto i torrioni neri
Agitando le trombe e le foglie di quercia,
Con le picche nel pugno; in noi non c'era odio,
- Ci sentivamo tanto forti, volevamo essere buoni!
 
"E da quel giorno, siamo quasi impazziti!
Gli operai si sono ammucchiati nelle strade,
Vanno, quei maledetti, orda sempre più folta
Di cupi resuscitati, alla porta dei ricchi.
Io corro con loro a trucidare le spie:
Me ne vo per Parigi, nero, col mio martello,
Feroce, ogni tanto spazzando via un buffone,
E anche te ammazzerò, se mi ridi sul muso!
- Dopo, sta' certo, avrai da fare con i tuoi
Uomini neri, che delle nostre istanze
Fanno pallottole per giocare al volano
Sussurrando astuti fra loro: " Che balordi!"
E cucinano leggi, incollano vasetti
Colmi di decreti in rosa e intrugli drogati,
Godendo a rifilare per bene qualche taglia,
Poi si tappano il naso se passiamo noi,
- Fini rappresentanti, che ci trovano sporchi! -
E non hanno paura di niente, ma di niente,
Se non delle baionette… Va bene, adesso basta,
Con queste tabacchiere contafrottole!
Non ne possiamo più di quei cervelli piatti,
Di quei domeneddio. Ah! queste son le pietanze
Che ci servi, compagno, quando siamo spietati,
Quando mandiamo in briciole pastorali e scettri!…"
 
Lo afferra per un braccio, strappa via il velluto
Dei tendaggi; e là sotto gli addita i cortili
Vasti ove brulica, brulica, e si gonfia la folla,
La folla tremenda che ha il mugghio dell'onda,
Che ha un urlo di cagna, che ha un urlo di mare,
Coi rudi bastoni, le picche di ferro, i tamburi,
Con le sue grida di mercato e di bettola,
Groppo di cupi cenci, cui è sangue il berretto rosso
L'Uomo, dalla finestra spalancata, li addita
Al livido e madido re che a quella vista,
Disfatto, vacilla!
       "Eccoti la Marmaglia,
Sire. Sbavano ai muri, si espandono, pullulano,
- Non mangiano, Sire, e dunque son canaglie!
Io sono un fabbro: mia moglie è con loro,
Pazza! Che s'illude di trovare pane alla Reggia!
- Gente come noi, i fornai non ne vogliono.
Ho tre bambini. Anch'io son marmaglia. - Conosco
Vecchie in lacrime sotto la cuffia
Perché gli hanno preso il ragazzo o la figlia:
Marmaglia. - Un uomo era alla Bastiglia,
Un altro era forzato: entrambi, cittadini
Onesti. Scarcerati, sono cani.
Li insultano! Allora, sentono qui una cosa,
Che gli fa male, capisci! É tremendo,
E sentendosi spezzati, sentendosi dannati,
Adesso, là sotto, vi urlano in faccia!
Marmaglia. - Fra loro ci son femmine
Infami, perché, - si sa, son deboli, le donne!-
Signori cortigiani, - si sa, ci stanno sempre!,-
Gli avete, come niente, insudiciato l'anima.
Eccole, adesso, le vostre amanti. Marmaglia.
 
"Oh, tutti gli Infelici, coloro che hanno la schiena
Arsa dal sole crudele, e che vanno, e che vanno,
E a quel lavoro sentono spaccarsi la fronte…
Giù il cappello, borghesi! Questi, sono gli Uomini!
Siamo Operai, Sire! Operai! Siamo per i nuovi
Tempi grandiosi in cui si cercherà di sapere,
In cui l'Uomo costruirà dal mattino alla sera,
Volendo grandi effetti, volendo cause grandi,
Quando, vincitore cauto, domerà le cose,
E come in groppa a un cavallo salirà sul Tutto!
Oh! Splendidi bagliori delle fucine! Di più,
Dobbiamo penare di più! - quel che ignoriamo
Sarà forse terribile: Sapremo!
- Con il martello in pugno, passeremo al vaglio
Ciò che sappiamo: e poi, Fratelli, avanti!
A volte il nostro è un gran sogno pietoso
Di vita ardente e semplice, e lavoro, senza
Male parole, all'ombra del sorriso augusto
Di una donna amata con nobile amore:
Lavoreremmo fieri tutto il giorno,
Ascoltando il dovere come tromba che squilla:
E saremmo felici; e soprattutto
Nessuno, oh! Nessuno potrebbe mai piegarci!
Sopra il camino avremmo un fucile…
 
"Oh! Ma l'aria è tutto odore di battaglia!
Che ti dicevo? Anch'io sono marmaglia! Ancora
Rimane qualche incettatore, qualche spia.
Siamo liberi, noi! Conosciamo terrori
In cui ci sentiamo grandi, tanto grandi! Ti parlavo
Poco fa di un dovere calmo, di una casa…
Ma tu, guarda il cielo! - É troppo esiguo per noi,
Soffocheremmo dal caldo, saremmo in ginocchio!
 
Ma tu, guarda il cielo! - Io torno tra la folla,
Nella grande marmaglia tremenda, che spinge,
Sire, i tuoi cannoni antichi sui sozzi selciati:
- Oh! Quando saremo morti, li avremo lavati
- E se contro le nostre urla, contro la nostra vendetta,
Le zampe dei vecchi re spronano in Francia
I reggimenti vestiti a festa, ebbene, voi
Tutti, mi udite? - Merda per quei cani!"
 
- Riprese il martello.
La folla
Vicino a quell'uomo si sentiva inebriata,
E nel cortile vasto, negli appartamenti
Dove urlando Parigi ansimava,
Un fremito agitò l'immensa popolaglia.
Allora, con l'ampia mano superba di sporcizia,
E benché il re panciuto sudasse, il Fabbro,
Terribile, sul viso gli scagliò il berretto rosso!